Ancora deportazioni da Lampedusa all’Egitto

Nella notte del 2 luglio sono stati rimpatriati 35 cittadini di origine egiziana, ospitati presso il Cie [Centro di identificazione e di espulsione] di Lampedusa. Così almeno l’Ansa chiama quello che fino a pochi giorni fa veniva definito Centro di accoglienza, un centro di accoglienza a cinque stelle, come affermato nel corso di una visita lampo dal ministro Ronchi.

Il volo charter, secondo le notizie del ministero dell’interno, è partito alle 2 dall’aeroporto di Catania alla volta del Cairo. L’operazione, condotta dal Dipartimento della pubblica sicurezza, fa seguito ad un precedente intervento, della scorsa settimana, che ha consentito al rimpatrio di 38 cittadini di origine egiziana. Il governo tenta in questo modo di decongestionare la struttura di Lampedusa che nella scorsa settimana aveva «accolto» oltre 1600 immigrati, salvati dai mezzi della marina militare mentre tentavano di attraversare il Canale di Sicilia.

Evidentemente occorreva lanciare l’ennesimo messaggio dissuasivo e per questo si è ripristinata la prassi dei rimpatri diretti da Lampedusa, prassi che nel 2004 era costata una condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Non si sa se verso le persone destinatarie della misura dell’allontanamento forzato in frontiera sia stato notificato un provvedimento di respingimento o di espulsione, se questi provvedimenti e il trattenimento nel CIE siano stati convalidati da un magistrato, di certo a Lampedusa non c’è né un tribunale, né una questura.
O gli immigrati sono stati rimpatriati in Egitto senza provvedimenti formali, come se Lampedusa non appartenesse al territorio italiano, con un gravissimo abuso rilevante anche in sede penale, oppure sono stati rimpatriati sulla base di provvedimenti illegittimi, adottati al di fuori delle procedure previste dal Testo Unico sull’immigrazione. Andremo sino in fondo nell’accertamento delle modalità di rimpatrio forzato direttamente dall’isola di Lampedusa e non appena avremo altri dati presenteremo le necessarie denunce a livello nazionale ed internazionale.
Mentre si sta alzando una cortina fumogena sulle circostanze della morte di un migrante nella notte del 29 giugno scorso nel Cid di Caltanissetta, qualcuno asserisce già che il giovane ghanese sarebbe morto in ospedale e non nel centro di Pian del lago, il governo insiste nella logica perversa di moltiplicare in tutta Italia i centri di detenzione per dare in pasto all’opinione pubblica affamata di sicurezza i corpi di altri migranti da deportare, magari scelti a caso, o sulla base dei rapporti con le ambasciate dei paesi di provenienza, misure simboliche rispetto alla massa di clandestinità che il governo alimenta con le misure del pacchetto sicurezza, ma assolutamente preoccupanti per le tante possibilità di vita e di integrazione che si stanno distruggendo.

«La Sicilia è una terra verso cui si dirige la disperazione degli immigrati clandestini. Le aggressioni [così si esprimono sempre le agenzie di informazioni] che sotto il profilo territoriale connotano anche in queste ore l’isola di Lampedusa, sono note a tutti. Tra 10-12 giorni al massimo avremo a disposizione altri 6 o 7 centri di identificazione ai fini dell’espulsione in altre regioni d’Italia. Questo ci permetterà di evitare il sovraffollamento delle poche strutture attualmente esistenti sul territorio». Lo ha detto il sottosegretario al ministero dell’interno, Nitto Francesco Palma, a Palermo per un vertice con i prefetti delle 9 province siciliane.

Siamo proprio curiosi di vedere come il governo allestirà tanti centri di detenzione in qualche settimana, temiamo che si vada ad un ulteriore imbarbarimento delle regole delle detenzione, magari con il ricorso ai professionisti delle guerre umanitarie e delle caserme dell’esercito, con la solita copertura della Croce Rossa e delle associazioni che hanno accettato il ruolo di secondini. Temiamo che ai morti di Torino, nel Cpt di via Brunelleschi e di Caltanissetta, a Pian del lago, presto ne possano seguire altri. Di certo in queste ultime settimane il clima nei centri di detenzione e tesissimo, i pestaggi all’ordine del giorno, l’uso dei psicofarmaci nella normalità, e i controlli di legalità dei giudici di pace sempre più formali, spesso limitati alla verifica degli atti come se si trattasse di apporre un semplice bolllo. Molti migranti arrestati dalla polizia nelle cità del norditalia sono stati trasferiti nei cpt meridionali, creando una situazione di confusione e di sovraffollamento con gli immigrati appena arrivati da Lampedusa o da altri punti di sbarco. Esattamente la stessa situazione che si era determinata nel 1999, prima del rogo e della strage del centro Serraino Vulpitta di Trapani.

Per tutte queste ragioni sollecitiamo una iniziativa ancora più forte di denuncia, di mobilitazione e di difesa legale a tutte le associazioni, senza protagonismi o ambizioni di visibilità che potrebbero pregiudicare il lavoro collettivo che si sta portando avanti da mesi per difendere la vita ed i diritti dei migranti. Chiediamo che nello stesso spirito i parlamentari nazionali ed europei tornino a visitare periodicamente i centri di detenzione e le carceri per monitorare la situazioni in tutte le strutture nelle quali vengono imprigionati i migranti privi di un documento di soggiorno. Occorre istituire gruppi permanenti per il monitoraggio dei luoghi nei quali può essere violata la libertà personale e gli altri diritti fondamentali della persona.

Alla luce della approvazione della direttiva comunitari sui rimpatri deve impedirsi che il nostro paese ne faccia un uso strumentale, portando fino a 18 mesi la detenzione nei centri di espulsione, senza neppure applicare i rari aspetti positivi di questa nuova disciplina [sui rimpatri volontari, in particolare], ed occorre contribuire tutti alla costruzione di un vasto fronte per denunciare la nuova direttiva davanti alla Corte di giustizia, e sollevare nel nostro paese eccezioni di costituzionalità a catena, non appena si volesse darne applicazione nel nostro ordinamento. Occorre anche denunciare tutti i casi nei quali le nuove norme o le nuove prassi amministrative risultino in violazione del diritto di asilo, riconosciuto dalla nostra Carta costituzionale, prima che dalle norme comunitarie e dalla Convenzione di Ginevra.