Rimpatri, una direttiva che isola e uccide

In tutta Europa si assiste ad un continuo inasprimento delle attività di contrasto delle migrazioni irregolari e dalla persistente chiusura delle vie legali di ingresso. L’Unione Europea non è neppure riuscita ad adottare una direttiva sugli ingressi per lavoro e le diverse direttive adottate in materia di asilo e protezione umanitaria consentono ancora situazioni molto differenziate tra i diversi paesi e prassi delle autorità amministrative che impediscono generalmente l’accesso effettivo alla procedura di asilo.

Il Parlamento Europeo, piegandosi alla volontà del Consiglio, ha approvato adesso, senza apportare neppure un emendamento una direttiva sui rimpatri forzati che, anche se priva di un immediato effetto vincolante, potrebbe costituire ulteriore stimolo per molti paesi, come l’Italia, nella direzione di un ulteriore inasprimento delle normative e delle prassi in materia di respingimento, espulsione e detenzione amministrativa.

Si consente così agli stati membri di estendere il periodo di detenzione amministrativa per i migranti irregolari fino a 18 mesi, una prescrizione che in alcuni paesi come l’Italia appare in stridente contrasto con il dettato costituzionale ( art. 13) che stabilisce limiti precisi per la detenzione amministrativa. Qualunque tentativo di trasposizione automatica della direttiva nel nostro ordinamento dovrà essere sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale.

Si creano regole processuali diverse per i migranti irregolari, consentendo di abolire l’effetto sospensivo del ricorso, in violazione dell’art. 24 della Costituzione italiana che sancisce il diritto di difesa, e dell’art. 6 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo che afferma per tutti gli esseri umani, compresi i migranti irregolari, il diritto ad un processo equo, la presunzione di innocenza e il diritto ad un ricorso effettivo. Per questa ragione la direttiva dovrà essere immediatamente impugnata davanti alla Corte di Giustizia UE di Lussemburgo che non potrà non tenere conto della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Si prevede l’espulsone dei minori non accompagnati, in violazione delle convenzioni internazionali che proteggono i diritti dei minori comunque, quale che sia il loro status legale. I questo modo si espongono i soggetti più vulnerabili alle violenze che subiscono nei paesi dai quali fuggono o transitano. Si dovrà quindi denunciare la direttiva all’Alto commissariato delle nazioni Unite per i diritti umani ed alle organizzazioni internazionali che difendono i diritti dei minori.

Viene previsto un divieto di reingresso di cinque anni, per quanti abbiano subito un provvedimento di espulsione, creando così le condizione per un riprodursi incontrollabile della clandestinità, in quanto tutti coloro che ricevono un provvedimento di espulsione valevole ormai in tutta Europa, sono condannati, praticamente per sempre, a muoversi come clandestini ed ritentare in questa condizione un ingresso irregolare.

Ma soprattutto, l’aspetto più allarmante della direttiva, sul piano delle relazioni internazionali, consiste nel fatto che si apre per la prima volta la possibilità di deportare migranti irregolari nei paesi di transito, ai quali l’Unione Europea si impegna a corrispondere ingenti somme per blindare le frontiere meridionali e per la successiva deportazione verso i paesi di provenienza, sempre che questa si possa stabilire. Si legittima così un ignobile mercato di esseri umani, nel quale già il governo Berlusconi si è cimentato nel 2004 e nel 2005 quando ha trasferito migliaia di migranti direttamente da Lampedusa verso la Libia, malgrado la condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

D’altra parte appare evidente come prolungare la detenzione amministrativa, al di là dei dubbi di legittimità, non consenta certo una più efficace politica delle espulsioni se non si compra la collaborazione dei regimi dittatoriali che governano i paesi di transito. Ognuno, del resto si sceglie gli alleati che si merita.

 Le conseguenze infami della direttiva rimpatri

Adesso si può attendere delle politiche comunitarie in materia di immigrazione ed asilo si rivolgano alla stipula di accordi di cooperazione nella “lotta” all’immigrazione clandestina, da ultimo con paesi di transito come la Mauritania ed il Ghana. L’approvazione della direttiva sblocca ingenti fondi comunitari che saranno versati nelle casse dei dittatori che governano i paesi di transito allo scopo di esternalizzare i controlli di frontiera, impedire l’accesso in Europa ai richiedenti asilo ed ai soggetti più vulnerabili come donne e bambini.

Detenere e deportare sono le principali direzioni nelle quali si sta muovendo la diplomazia europea nei confronti dei paesi di provenienza e di transito. L’approccio è sempre quello della “condizionalità migratoria”: in cambio di aiuti economici e di limitate possibilità di ingresso legale per i cittadini di quei paesi, si ottiene un maggiore impegno nell’arresto e nella successiva espulsione, o nel respingimento verso altri paesi dei migranti in transito, molti dei quali provenienti da lontano, spesso potenziali richiedenti asilo.

Gli accordi di riammissione con i paesi nordafricani sono basati sul presupposto che questi paesi, ad
eccezione della Libia, hanno aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Quando poi si va a
considerare la dimensione effettiva del diritto di asilo in questi stati si verifica come il diritto di
asilo venga riconosciuti in poche centinaia di casi. Non si può ritenere sufficiente l’adesione
formale alla Convenzione di Ginevra, se poi i singoli stati si comportano in modo da violare i
principi essenziali di quella convenzione, e neppure consentono il tempestivo intervento dei
funzionari dell’ACNUR.

Dopo l’approvazione della direttiva della vergogna si darà spazio ancora più ampio alla cd. “cooperazione pratica”, intese di polizia dei diversi paesi che molto spesso stabiliscono discrezionalmente modalità operative e di ingaggio dei mezzi che vanno ben oltre le regole comunitarie e le prescrizioni costituzionali, ritenuti da alcuni inutili formalismi che non risultano funzionali nel contrasto dell’immigrazione irregolare. Anche le direttive ed i regolamenti comunitari rischiano di restare sullo sfondo, quando si tratta di combattere la “guerra all’immigrazione clandestine”. Le condizioni di vita nei centri di detenzione saranno ancora una volta rimesse alla totale discrezionalità delle forze di polizia. E saranno introdotte limitazioni anche per l’esercizio dei diritti di difesa.

Numerosi strumenti internazionali, accordi di riammissione e accordi di polizia, di fronte all’evidente natura mista dei flussi migratori irregolari, composti da migranti economici e da potenziali rifugiati, fanno salvi ( almeno sulla carta) i diritti dei richiedenti asilo ma non fanno alcuna menzione a coloro che potrebbero potenzialmente ottenere in Europa uno status di protezione sussidiaria, regime introdotto a partire dal 2004 con diverse direttive che i diversi stati europei stanno provvedendo ad attuare con grande lentezza, e talora in modo difforme da quanto previsto a livello comunitario. Adesso, con l’approvazione della direttiva rimpatri, una buona parte delle direttive comunitarie in materia di asilo e di protezione internazionale, e le relative leggi nazionali che le hanno attuate dovranno essere ribaltate.

Secondo numerose testimonianze, raccolte da operatori umanitari e giornalisti, consultabili nei siti di Migreurop (Parigi), di PICUM ( Bruxelles), di Border Europe ( Berlino) e di Fortress Europe (Roma), confermate da rapporti di agenzie internazionali come Amnesty o Human Rights Watch (HRW), facilmente reperibili nei siti di queste organizzazioni, numerosi paesi europei impegnati nelle operazioni di contrasto dell’immigrazione clandestina non rispettano neppure le regole procedurali vincolanti dei Trattati internazionali, delle direttive e dei regolamenti comunitari.

Si assiste dunque ad una moltiplicazione degli strumenti di contrasto nella lotta contro l’immigrazione clandestine con norme, accordi internazionali bilaterali o multilaterali, pratiche concordate a livello di forze di polizia o di gruppi operative tecnici, emanazione dei ministeri dell’interno e degli esteri o di specifici comitati o gruppi di lavoro a livello comunitario, con un crescente pregiudizio per la vita umana dei migranti definiti come “clandestini”, in parte richiedenti asilo ed in parte costretti all’ingresso irregolare per l’assenza di canali legali di ingresso per lavoro o per ricongiungimento familiare

Sempre più evidente in questi casi il rischio che i programmi e le attività di contrasto dell’immigrazione clandestina adesso inasprite dalla direttiva sui rimpatri, possano scaricarsi sulle vite dei migranti, una parte dei quali appartiene sicuramente, secondo quanto dichiarato dall’ACNUR, alla categoria dei richiedenti asilo. Tra gli altri sempre più numerosi i soggetti particolarmente vulnerabili come donne e bambini sottoposti ad ogni genere di abusi nei paesi di transito come la Libia, la Tunisia e l’Algeria.

Gli effetti dell’approvazione della direttiva sui rimpatri saranno devastanti, a livello interno ed a livello internazionale. Il prolungamento della detenzione amministrativa fino a 18 mesi farà esplodere il sistema già in crisi dei centri di detenzione amministrativa, il numero delle vittime sarà assai elevato, anche in termini di vite umane, e le conseguenze sulla convivenza tra migranti e cittadini probabilmente irreversibili. Alla costruzione del “nemico interno”, sancita dalla direttiva della vergogna, corrisponderà una diffusione dei conflitti sul territorio da parte delle comunità che si sentiranno ogni giorno sotto attacco. La chiusura definitiva di ogni speranza di integrazione e di coesistenza pacifica.

A livello internazionale si segnalano già le voci di numerosi paesi del sud e dell’america latina che hanno protestato per la approvazione della direttiva rimpatri. Una politica europea sull’immigrazione esclusivamente incentrata sugli strumenti repressivi e sugli apparati di polizia non potrà che avere conseguenze assai negative, come già annunciato, sul piano del commercio e delle relazioni internazionali.

In ambito comunitario le cd. Politiche di protezione regionale ( PPR) o le nuove Politiche di vicinato (PEV) non possono essere finalizzate, di fatto, all’esclusivo scopo di bloccare gli ingressi, facilitare i rimpatri forzati e esternalizzare i sistemi di detenzione amministrativa e di allontanamento forzato, magari in cambio di modesti aiuti economici o di esigue quote di ingresso legale. In presenza di “flussi migratori misti”, come rilevato anche dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ( ACNUR), occorre invece realizzare una effettiva politica comunitaria
di protezione nei confronti dei richiedenti asilo o protezione umanitaria, con una disciplina uniforme del diritto di asilo e di protezione umanitaria nei diversi stati europei, basata sulla distribuzione degli interventi di accoglienza ( burden sharing) con una particolare tutela dei soggetti vulnerabili ( donne, minori, vittime di tortura), ma anche riaprendo canali di ingresso legale per ricerca di lavoro, ed introducendo meccanismi di regolarizzazione permanente individuale sulla base del modello adottato alcuni anni fa dalla Spagna.

Contro le organizzazioni che gestiscono il traffico dei migranti, piuttosto che norme inutilmente vessatorie come quelle contenute nella direttiva sui rimpatri, va riaffermato il principio di legalità e strumenti di monitoraggio delle attività delle polizie locali. Come è confermato da numerose testimonianze in molti paesi di transito la corruzione della polizia e le organizzazioni criminali dei trafficanti di uomini formano un sistema unico che stritola migliaia di vite e che risulta invisibile soltanto ai governanti europei che con gli stati di polizia del nord-africa non esitano a concludere accordi di riammissione che sulla carta richiamano i diritti fondamentali ed il diritto di asilo, ma che
nella pratica si riducono a pratiche di deportazione e di schiavizzazione indegne di un qualsiasi paese che voglia continuare a definirsi democratico.

Che fare ?

La prima linea di intervento va individuata a livello europeo e consiste nel sostegno a tutte quelle azioni positive poste in essere da enti locali e da ONG, che a livello nazionale ed internazionale, soprattutto nei paesi di transito, si rivolgono alla tutela dei richiedenti asilo e protezione umanitaria, rivendicando oggi ancora più forte che in passato una diversa politica dell’immigrazione e dell’asilo. Vanno intensificate le azioni di denuncia e di assistenza legale.

Al posto degli accordi di riammissione, gli accordi di cooperazione economica dovranno restituire un ruolo progettuale alle organizzazioni non governative ed agli enti locali, anche per diffondere informazioni corrette sulle prospettive dell’emigrazione in Europa e per fornire un sostegno alle famiglie dei candidati all’emigrazione clandestina.

Occorre stabilire poi una nuova disciplina degli ingressi legali per lavoro, a livello nazionale, se non sarà possibile trovare una intesa a livello europeo. Se non si introdurranno al più resto forme di regolarizzazione individuale in tutta Europa occorrerà ricorrere ad un ennesima sanatoria generalizzata. Va comunque moralizzato il mercato del lavoro. Altrimenti il lavoro informale costituirà una potente attrazione che nessuna nave militare e nessun campo di detenzione amministrativa riuscirà ad offuscare.

Di fronte alla composizione mista dei flussi migratori occorre un regolamento europeo che superi la Convenzione di Dublino e garantisca la salvaguardia della vita umana a mare e la protezione dei soggetti più vulnerabili come i richiedenti asilo, le donne ed i minori. In particolare si devono depenalizzare al più presto gli interventi di salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni non militari, in modo da rendere più tempestive le azioni di salvataggio.

In senso opposto rispetto a quanto si sta facendo in Italia, va modificata la disciplina nazionale delle espulsioni e dei respingimenti, considerandola strumento eccezionale e non metodo ordinario di gestione dell’immigrazione. Rivendichiamo ancora oggi il diritto di chiedere la chiusura degli attuali centri di detenzione amministrativa e dei centri di identificazione. Con il prolungamento della detenzione amministrativa a 18 mesi queste strutture, in tutta Europa, esploderanno.

Devono essere evitate pratiche di polizia concretamente riconducibili al divieto di espulsioni collettive vietate dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Malgrado l’approvazione della direttiva sui rimpatri vanno interrotti immediatamente i finanziamenti concessi dai governi europei ai paesi di transito per mantenere centri di raccolta dei migranti irregolari, che assumono spesso, come rilevato in Libia da Human Rights Watch e da una delegazione del Parlamento europeo, il carattere di veri e propri lager. Come vanno interrotti i finanziamenti europei dei voli con i quali gli stati di transitano restituiscono molti potenziali richiedenti asilo alla polizia dei paesi, come l’Eritrea, dai quali questi sono fuggiti.

In questo quadro, può costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona il coinvolgimento nelle pattuglie Frontex di unità navali di paesi che non rispettano i diritti dei richiedenti asilo, come Malta e la Libia. Non si dovranno più verificare espulsioni o respingimenti verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto di asilo. Piuttosto che finanziare campi di detenzione amministrativa nei paesi di transito, strutture che diventano luoghi di abusi e di traffici di ogni tipo, occorre istituire, negli stessi paesi di transito, veri e propri centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Bisogna estendere l’istituto
dell’asilo extraterritoriale, dare quindi la effettiva possibilità di presentare una richiesta di asilo nei
paesi di transito e di garantire un rigoroso rispetto del principio di non refoulement previsto dalla
Convenzione di Ginevra.

Non si dovranno più verificare espulsioni o respingimenti verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto di asilo. Piuttosto che finanziare campi di detenzione amministrativa nei paesi di transito, campi che diventano luoghi di abusi e di traffici di ogni tipo, occorre istituire, anche nei paesi di transito, veri e propri centri di accoglienza per i richiedenti asilo.

Deve essere riconsiderata dai Parlamenti nazionali la materia degli accordi di riammissione, sia perché in contrasto con le normative internazionali ed interne in materia di protezione dei diritti fondamentali della persona migrante, sia perché le azioni di polizia attuate sulla base di tali accordi sono sottratte ad ogni effettivo controllo giurisdizionale. Gli accordi già stipulati con i paesi di transito e di provenienza vanno revocati o comunque rinegoziati, ed eventuali accordi futuri, comunque discussi ed approvati dalle assemblee parlamentari, dovranno essere strettamente conformi alle norme internazionali e costituzionali sulla tutela dei diritti fondamentali della persona, a partire dalla Carta di Nizza, che vieta le espulsioni collettive, e dalla Convenzione Europea a
salvaguardia dei diritti dell’uomo, che prevede, in caso di violazione, mezzi immediati di ricorso davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.