Violazioni di leggi nell’attuazione italiana degli accordi di riammissione

La trasformazione del centro di Lampedusa da Centro di primo soccorso ed accoglienza (CPAeS) in Centro di Identificazione ed espulsione (CIE) e la detenzione nel Centro di tutti i migranti senza alcun invio degli stessi in altri centri di Italia comporta la violazione sistematica di norme di diritto internazionale e di diritto interno.

La normativa vigente in materia di esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di respingimento dispone che i migranti soggetti alla procedura devono essere trattenuti in apposite strutture.
Le ipotesi in cui il trattenimento può essere disposto sono tassative e si prevede una convalida nelle 96 ore successive al trattenimento da parte dell’autorità giudiziaria.

Dette procedure non possono essere applicate in un Centro come quello che Lampedusa è stato sino a poco tempo fa (CPAeS) e non sono state, infatti, applicate. I migranti sono stati e sono trattenuti ben oltre le 96 ore senza alcuna convalida giurisdizionale.

Si applica sistematicamente il cosiddetto “respingimento differito” previsto dall’art. 10 terzo comma D.L.gs. 286/98. Quest’ultimo, però, così come il provvedimento di espulsione, costituisce un provvedimento limitativo della libertà personale, soggetto all’applicazione dell’art. 13 della Carta Costituzionale, e quindi, anche per detto provvedimento vi è il limite del controllo giudiziario entro e non oltre le 96 ore. La possibilità di un ricorso giurisdizionale contro il respingimento differito disposto dal Questore non può essere effettivo stante la lontananza del Tar competente - Tar Palermo - dall’isola di Lampedusa.

Questa situazione viola il principio del controllo giudiziario della detenzione - limitazione della libertà personale - previsto dall’art. 5 della CEDU; l’art. 6 della CEDU e l’art. 47 della Carta Europea dei diritti dell’uomo che garantiscono il diritto ad un rimedio efficace ed a un giusto processo.

La gestione attuata dal Governo del CIE di Lampedusa può essere considerata simile a quella già adottata da alcuni paesi negli aeroporti per le “zone di transito” destinate all’allontanamento dei migranti.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato i paesi che avevano istituito dette “zone” affermando i principio che il diritto dello Stato di sorvegliare l’ingresso e il soggiorno di stranieri nel proprio territorio deve essere contemperato dalla necessità di non violare alcuno dei principi affermati nella CEDU.

Per giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani si hanno espulsioni collettive quando non viene presa in considerazione la situazione individuale della persona sottoposta alla misura di allontanamento forzato e non venga svolto un “esame ragionevole ed obiettivo delle ragioni e delle difese di ciascuno innanzi all’autorità competente”.

Dal Centro di Lampedusa si sono già effettuati dei rimpatri sommari sia per la Tunisia che per l’Egitto. Detti rimpatri sono in violazione del divieto di espulsione collettive sancito dall’art. 4 dell’allegato IV alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo e del principio di non refoulement, affermato dalla Convenzione di Ginevra, oltre che degli articoli 10 (diritto d’asilo) 13 (inviolabilità della libertà personale) e 24 (diritto inviolabile alla difesa) della Costituzione italiana.

Già nel 2005 una Risoluzione del Parlamento Europeo ha condannato le espulsioni collettive da Lampedusa verso la Libia.

Vi sono state anche violazioni del diritto d’asilo. Il trattenimento dei richiedenti asilo avviene in strutture non idonee e comunque in violazione delle norme di diritto interno. I richiedenti asilo possono essere inseriti oltre che nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) o nei CIE.
Nel Centro di Lampedusa C.da Inbriacola prima ed oggi alla Loran non sussistono i requisiti previsti dalla legge per i CARA né sono assicurati i necessari servizi di supporto, orientamento e consulenza.

In relazione, poi, all’effettiva tutela giurisdizionale quest’ultima è stata di fatto negata. Non è, infatti, de facto possibile proporre ricorso contro il diniego dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria e ciò per l’isolamento geografico dell’isola di Lampedusa e l’assenza di sedi giudiziarie competenti (Tribunale Palermo).

Le clausole dell’accordo di riammissione con la Libia - paese terzo rispetto alla nazionalità dei rimpatriati - non tengono in alcun conto il rischio del migrante di essere esposto a torture, trattamenti degradanti, detenzione nel proprio paese di origine.

Ed ancora le coste libiche lunghe migliaia di chilometri non potranno essere interamente pattugliate dalle sei motovedette italiane. Ciò non sarà possibile, ma invece quello che sta già accadendo è il cambio delle rotte dei migranti che sbarcano a Porto Empedocle, Pozzallo, Porto Palo.