In Libia la caccia ai migranti continua Report di una missione d’inchiesta

Federazione internazionale dei diritti dell’Uomo (FIDH)- Migreurop- Justice sans frontieres pour les migrants (JSFM)

A seguito di una missione d’inchiesta che si è svolta in Libia dal 7 al 15 giugno 2012, il quadro del trattamento inflitto ai migranti nel contesto di totale confusione che regna attualmente nel paese è, secondo le nostre organizzazioni, particolarmente inquietante.

Ricca di risorse petrolifera e poco popolata, la Libia di Gheddafi faceva massicciamente ricorso alla manodopera straniera per far funzionare la sua economia. Più di sei mesi dopo la fine del conflitto armato, che aveva provocato la fuga di centinaia di migliaia di migranti verso la Tunisia, l’Egitto e i paesi sub-sahariani, i migranti e i rifugiati che si trovano oggi in Libia, sono vittime di gravi violazioni dei diritti fondamentali.

Mentre la situazione del paese non si é ancora stabilizzata e non esiste un potere centrale in grado di gestirla, delle milizie armate si sono aggiudicate la «missione» e il potere di occuparsi della questione dei migranti, al di fuori di ogni legalità. In tutto il paese, queste milizie, controllano, arrestano e detengono gli stranieri in centri di detenzione improvvisati. In nome di una presunta preoccupazione securitaria che giustificherebbe la “pulizia degli illegali”, questi gruppi armati vanno letteralmente “a caccia” di migranti, prendendo a bersaglio principalmente i migranti dell’Africa sub-sahariana.

La delegazione ha potuto visitare cinque centri di detenzione a Tripoli, Gharyan (nei monti di Nafousa) e a Bengazi. Catturati mentre attraversano i check-point o arrestati nelle loro case, gli stranieri considerati «illegali» sono portati nei campi gestiti da «Katiba» (brigate) di miliziani al di fuori del controllo delle autorità governative. Le condizioni di vita in questi centri sono indegne e deplorevoli. La delegazione ha raccolto numerose testimonianze di maltrattamenti, violenze fisiche e umiliazioni. Abbiamo potuto constatare la presenza di donne, bambini piccoli, minori non accompagnati e malati. Migranti e rifugiati vivono nell’angoscia rispetto al loro futuro, in assenza di una qualsiasi prospettiva di soluzione legale o possibilità di ricorso a istanze nazionali o internazionali. Secondo le informazioni raccolte, le possibilità di uscire da questi centri, sono completamente arbitrarie. Alcuni migranti espulsi sono ritornati al loro paese d’origine su voli charter organizzati dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), ad altri, su iniziativa dei direttori dei centri, sono state “offerte” opportunità di lavoro forzato presso datori di lavoro esterni, altri ancora riescono ad uscire pagando i guardiani o sono stati liberati a causa del sovrappopolamento dei centri stessi.

La delegazione ha ricevuto numerose informazioni concordanti sull’esistenza di tutto un sistema complesso di reti che intrecciano trafficanti, milizie armate e imprenditori senza scrupoli, che approfittano della vulnerabilità dei migranti per estorcere loro delle somme (dai 700 a 1.000$) e sfruttarli lungo tutta la rotta migratoria.

In nome della lotta all’immigrazione «illegale», le guardie costiere libiche collaborano di fatto con la politica di esternalizzazione dei controlli delle frontiere dell’UE, intercettando i migranti al largo delle coste libiche. In continuità con gli accordi stipulati sotto il regime di Gheddafi, le nuove autorità chiedono all’UE e all’Italia, in particolare, di ricominciare ad erogare aiuti finanziari, materiali e tecnici, agitando, come allora, lo spauracchio dell’invasione dell’Europa da parte di migranti provenienti dalla Libia. La delegazione ha anche raccolto le testimonianze di rifugiati che lasciavano supporre che i respingimenti verso la Libia continuano, in violazione delle norme internazionali (citate in una recente decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, Hirsi vs Italia, 23 febbraio 2012).

Le nostre organizzazioni esprimono la loro preoccupazione anche rispetto al clima generale di xenofobia che sembra imperare nella società libica e, in particolare, alle manifestazioni di razzismo verso gli africani neri. Accusati durante il conflitto di essere «mercenari di Gheddafi», ora sono vittime di pregiudizi secondo cui i migranti porterebbero nel paese malattie, droga, ecc.

Per i rifugiati in provenienza dal Corno d’Africa, la Libia è l’unica possibilità per trovare protezione in paesi vicini. Si rivolgono, quindi, all’Europa in cerca della protezione e dell’assistenza che legittimamente pretendono. La politica europea di chiusura delle frontiere blocca ogni possibilità di accesso legale in Europa e obbliga questi uomini, queste donne e a volte anche questi bambini a fuggire, rischiando la vita sulle c.d. carrette del mare, cercando di scappare al controllo delle guardie costiere libiche.

La delegazione ha constatato, sia nei centri di detenzione che nei quartieri degradati di Tripoli dove si nascondono, che i rifugiati eritrei, somali o etiopi non beneficiano di alcuna protezione e che sopravvivono nella massima insicurezza dal punto di vista legale e, dal punto di vista sociale, senza alcun permesso di soggiorno e di lavoro.

Insicurezza e precarietà caratterizzano la situazione di decine di migliaia (tra 30 e 40.000) di “sfollati interni” libici di Tawargha. Accusati collettivamente di complicità con il regime di Gheddafi e di crimini contro la popolazione di Misurata, gli abitanti della città di Tawargha hanno dovuto scappare e a cercare rifugio principalmente a Tripoli e a Bengasi. Attualmente vivono in accampamenti da dove osano a malapena uscire, a causa delle persecuzioni, degli omicidi e degli altri atti di violenza perpetrati dalle milizie armate in cerca di vendetta.

L’assenza di qualsiasi tipo di strumento giuridico per far luce sui crimini commessi e giudicare i veri colpevoli rende più difficile una riconciliazione a breve termine e lascia spazio ad azioni individuali di rivalsa.

Di fronti a queste gravi constatazioni, la FIDH, Migreurop e JSFM:

  • Chiedono alle autorità libiche di mettere fine alle pratiche arbitrarie e repressive delle diverse milizie ai danni dei migranti e di elaborare una politica migratoria degna di uno «stato di diritto» che segni una vera discontinuità con le politiche repressive e assassine dell’era Gheddafi.
  • Chiedono alla comunità internazionale, e, in particolare, agli Stati Europei, di non affidarsi in nessun modo alla Libia per attuare le loro politiche migratorie e di aprire le porte ai rifugiati della Libia affinché non siano più costretti a prendere il largo a bordo di imbarcazioni di fortuna.
  • Chiedono agli Stati Membri dell’UE, e, in particolare, a Malta e all’Italia, di cessare qualsiasi pratica di respingimento in mare verso la Libia
  • Raccomandano agli Stati e alle compagnie straniere che riprenderanno i loro investimenti in Libia ricorrendo a manodopera straniera di subordinare la firma dei contratti a delle clausole di rispetto stretto dei diritti dei lavoratori migranti per quanto riguarda gli stipendi, la protezione sociale e le condizioni di vita.

Missione in Libia - Photo Gallery: http://www.flickr.com/photos/saraprestianni/sets/72157630205237332/

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