Aleppo sotto le bombe

L’UE domanda alla Turchia di sorvegliare le sue frontiere

Mentre una marea di bombe constringe all’esodo gli abitanti della regione di Aleppo, la principale preoccupazione dei governi europei resta quella di tenere queste persone il più lontano possibile dalle proprie frontiere. Per far ciò non esitano a rivolgersi alla Turchia, direttamente coinvolta nel campo di battaglia geopolitico che è divenuta la Siria. Mentre decine di migliaia di rifugiati si ammassano alle frontiere turche, Recep Erdogan negozia con un’Europa con le spalle al muro il riconoscimento della Turchia come « paese sicuro » (il ché consentirà alla Grecia ed agli altri Stati membri di rinviare in Turchia gli esuli transitati sul suo territorio), diversi miliardi di aiuti finanziari e il tacito assenso alla sanguinosa repressione contro l’opposizione politica, in particolare verso i curdi [1].

Da qualche mese ormai, davanti al calvario vissuto dai rifugiati siriani che cercano di far riconoscere i propri diritti, l’Unione europea e gli Stati membri praticano la politica delle « lacrime di coccodrillo ». Ma all’emozione internazionale suscitata dalle foto di Aylan Kurdi lo scorso settembre hanno fatto immediatamente seguito le negoziazioni finalizzate ad impedire ai Siriani di avvicinarsi alle frontiere europee. Da allora, centinaia di adulti e bambini sono morti nell’indifferenza generale nel mar Egeo, in un tratto di mare lasciato nelle mani di scafisti i cui profitti sono direttamente proporzionali all’oltraggio alla Convenzione di Ginevra ed alla libera circolazione dei richiedenti asilo.

La sola bussola politica dell’UE è oggi quella del cinismo assoluto.

Al fine di misurare la vastità delle violazioni dei diritti umani perpetrate in nome del controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea, è necessario ricordare le disposizioni adottate da qualche mese per rendere sempre più inaccessibile la « rotta dei Balcani » ai rifugiati Siriani.

  • L’UE ha fatto pressione sulla Turchia affinché questa chiuda le proprie frontiere terrestri con la Siria ed introduca l’obbligo del visto per i Siriani che arrivano per via aerea.
  • I principali governi europei hanno domandato restrizioni alla libertà di circolazione all’interno del paese per i circa tre milioni di rifugiati siriani presenti in Turchia. L’UE ha raccomandato ed in parte finanziato l’apertura di campi per rifugiati situati nel sud della Turchia, e accettato che quest’utima priorizzi il relegamento dei rifugiati in territorio siriano.
  • Le possibilità di attraversare le frontiere terrestri tra la Turchia e la Bulgaria o la Grecia, ridotte già da molto tempo, lo sono ancor di più oggi a causa della moltiplicazione dei controlli. I Siriani in rotta verso l’Europa sono dunque spinti verso il cimitero del mar Egeo.
  • I Siriani che sono riusciti ad uscire dalla nassa turca e ad arrivare in Grecia sono considerati come la piaga d’Europa. Per “salvare lo spazio Schengen”, si prende addirittura in considerazione la messa in quarantena della Grecia, se quest’ultima non provvede a creare i campi di registrazione ed “accoglienza” in grado, secondo le autorità europee, di evitare che gli esuli si spingano verso nord [2].
  • Il meccanismo della « ricollocazione» (relocation) di 160.000 persone riconosciute come bisognose di protezione internazionale, adottato dall’UE a settembre 2015 a beneficio dell’Italia e della Grecia per “assicurare un’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri” di fronte ad un ingente numero di arrivi di migranti nei due paesi, si è tradotto, cinque mesi più tardi, nel trasferimento di meno di 500 richiedenti asilo [3].
  • Oggi anche la NATO scende in campo nella “guerra ai migranti” nel mar Egeo con una missione di pattugliamento condotta da tre navi militari, supportate da mezzi aerei e diretta dalla Germania [4].

Ricordiamo che queste ultime evoluzioni della politica europea, mirante a tenere i rifugiati siriani lontani dalle proprie frontiere, si svolgono in un contesto generale nel quale a milioni di persone arrivate in Turchia, in Giordania o in Libano vengono assai difficilmente concessi dei “visti asilo” che gli permetterebbero di raggiungere paesi quali l’Italia, gli viene materialmente impedito di viaggiare in aereo (a causa dell’imposizione di un obbligo di visto, anche per semplice “transito”) e gli vengono proposti programmi di reinsediamento sotto l’egida dell’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati (ACNUR) drammaticamente sotto-dimensionamenti.

In tali condizioni, gli appelli lanciati in questi ultimi giorni dalle Nazioni Unite [5] e dalla Commissione europea alla Turchia risultano “surreali” : a quest’ultima viene ora intimato di aprire le proprie frontiere per lasciar entrare gli esuli siriani. Tale misura è chiaramente indispensable ma si iscrive in una logica di subappalto, di lungo termine, che mira a far pesare su degli Stati terzi delle responsabilità che spetterebbero invece all’Europa stessa in virtù dei suoi obblighi internazionali. Tali appelli non saranno credibili e in grado di proteggere i diritti dei rifugiati siriani finché gli Stati membri non si decideranno ad aprir loro le proprie frontiere ed a metter in opera tutte le misure necessarie per permettere alle persone migranti di viaggiare senza mettere la propria vita in pericolo.

12 febbraio 2016

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